I Luoghi del Dolore
Le passo lentamente davanti, guardandola. I suoi occhi si fissano su di me, ma non sembra vedermi; ha l'aria di non riconoscersi nella sua angoscia. Faccio qualche passo. Mi volto...
Sì, è lei, è Lucia. Ma trasfigurata, fuori di sé, soffrendo con una folle generosità. La invidio. Sta lì, ritta, a braccia aperte, come se attendesse le stimmate; apre la bocca, soffoca. Ho l'impressione che i muri siano diventati più alti, ai due lati della strada, e che si siano ravvicinati, ch'ella si trovi in fondo a un pozzo. Aspetto qualche istante: ho paura ch'ella possa cader giù, rigida; è troppo gracile per poter sopportare questo dolore eccezionale. Ma non si muove, sembra mineralizzata come tutto ciò che la circonda. Per un istante mi domando se non mi sia sbagliato sul suo conto, se non sia questa che mi vien rivelata d'un tratto la sua vera natura. Lucia emette un piccolo gemito. Porta la mano alla gola aprendo due grandi occhi stupiti. No, non è in se stessa che attinge la forza di tanto soffrire. Le vien dal fuori... è questo viale. Bisognerebbe prenderla per le spalle e condurla alla luce, in mezzo alla gente, nelle strade dolci e rosee: là non si può soffrire così forte; ella s'ammorbidirebbe, ritroverebbe la sua aria positiva ed il livello ordinario delle sue sofferenze. Le volgo le spalle. Dopo tutto lei è fortunata. Io sono calmo da tre anni a questa parte. Queste solitudini tragiche non possono più darmi nulla se non un pò di purezza e vuoto. Me ne vado. (La Nausea, Jean-Paul Sartre)
Ci sono luoghi che liberano la nostra anima dall'inquietudine, rasserenano il cuore e lo sguardo. Altri luoghi distraggono la mente dagli affanni quotidiani, regalano un sorriso e lo stupore.
E poi ci sono quelli che invece ci trascinano in basso. Dove il nostro buio ci travolge e il corpo si abbandona senza freni al male dello spirito.
Luoghi in cui non ci vediamo, non ci sentiamo, non ci tocchiamo, non siamo.
In cui ci scopriamo ad immergere le braccia nella cloaca, per afferrare quella forza misteriosa che non conosce né vergogna e né contegno.
Sono i luoghi in cui conquistiamo la forza per soffrire.
Perché non sono illuminati, perché sono sperduti o insoliti, perché hanno il profumo giusto, il silenzio perfetto, il rumore che ci piace. Perché sono desolati o brulicanti di persone.
Io non conosco ancora le sembianze del mio Luogo del Dolore.
Non l'ho trovato. Forse non l'ho saputo cercare. O non l'ho cercato abbastanza.
E mi manca.
Per trovarlo non esistono indicazioni, solo istinto. E' un luogo dimenticato da tutti gli altri, viene attraversato o intravisto senza considerazione. Aspetta me, nel momento giusto.
Come il viale in cui si trovano i due personaggi del testo in alto. Un viale dove il freddo e la notte sono puri. Dove si può soffrire forte.
Ho bisogno di estirpare questa rabbia che giorno dopo giorno mi trasforma in quella che non voglio essere.
Voglio vivere il mio dolore eccezionale, purificarmi nel mio deserto e urlare senza più voce.
Poi, dopo, risorgere.
A nuova primavera.
Io personalmente tendo a non dimenticare mai questa frase:
RispondiElimina" Di fronte a un ambiente o un paesaggio freddo, è il tuo corpo l'unico generatore di caldo ".
In effetti parte, e torna, sempre tutto da lì.
il mio luogo del dolore è da sempre la mia stanza.
RispondiEliminaè il posto che più "mi conosce" e dove riesco a lasciarmi andare quando il mio morale è a terra.
Ogni volta che rileggo quel pezzo di Sarte mi commuovo.
F.G.
Il mio luogo del dolore è interno a me...non è la mia stanza o la mia auto...lo posso raggiungere ogni volta che voglio....il problema è che non riesco a chiudermi dentro alla perfezione perchè all'esterno qualcosa si vede cmq.
RispondiEliminaIl corpo genera calore, ma per bruciare occorre che l'ambiente esterno sia quello giusto. Se piove, la fiamma non si espande. Se c'è vento invece, si slancia gioiosa.
RispondiEliminaNon riesco a tirar via il dolore che m'attanaglia se ciò che mi circonda non mi abbraccia l'anima.
Tuttavia, ognuno di noi ha un suo personalissimo modo di lasciar scorrere via il veleno.
Siamo ormai abituati a mascherare i sentimenti e le sensazioni che ci scuotono con troppo vigore.
RispondiEliminaCi nascondiamo perennemente dietro un "tutto bene" oppure dietro un'infinita e lagnosa lamentela di sciocchezze che non ci soddisfano.
Il tutto è sempre mediocre o schifoso, ma sopportabile.
Abbiamo disimparato a riconoscere la felicità e a godercela, così come abbiamo disimparato a lasciar vivere il vero dolore e a controllare la rabbia.
Ci manca l'esercizio.
E' per questo che spesso, di fronte all'amore, all'odio o alla morte, cediamo e veniamo frantumati.
Non sappiamo gestire noi stessi, le nostre viscere.
Ogni tanto dovremmo smetterla di correre, assaporare il nostro vicolo buio o il cielo azzurro sulla nostra testa.
F.G.