lunedì 23 giugno 2008

L'uomo che vendeva parole - Ginevra


Qualcuno si apprestava ad entrare; oltre il vetro opaco della porta era apparsa un'ombra nera dal contorno indefinito.

L'uscio si schiuse senza rumore; una donna, occhi bassi, movenze silenziose.
Ginevra.

"Buongiorno" sussurrò con voce impercettibile "sono venuta ad acquistare la mia... scorta mensile", abbozzò un sorriso impacciato, forzato dalla circostanza.

L'uomo alzò un ciglio in segno di saluto. Con noncuranza si voltò verso l'armadio a mura, aprì un anta, e da uno dei piccolissimi e stretti cassettini situati all'interno prese una scatolina ricoperta di velluto color porpora.

"La ringrazio - ancora un sussurro, dal tono imbarazzato - sa, è sempre utile avere qualche parola di scorta... in quei casi"

Velocemente la scatolina scomparve nella borsetta e poi, senza aggiungere altro, la donna posò delle banconote su un tavolo dov'eran situate in bella vista una decina di scatoline di diversa forma e colore. Nel giro di mezzo minuto si dileguò, muovendosi silenziosa, quasi non volesse lasciar traccia del suo passaggio.

* * *

Ginevra è stata la prima cliente del negozio.

Quando lo spettegolìo sul venditore di parole era giunto al suo orecchio, senza pensarci troppo, aveva imboccato la strada che scivolando di casa in casa, dalla piazza in fondovalle, portava in cima.
Con timore aveva sospinto la porta semichiusa, era entrata, e senza guardarsi troppo attorno aveva chiesto al nuovo venuto se davvero in quel magazzino vendeva parole e se per caso disponeva anche di "parole calde".

L'uomo, senza proferir verbo, le aveva messo in mano la prima scatolina di velluto color porpora.
Non volle denaro quella prima volta.
"Si paga solo se si ritorna", aveva insistito, "ogni volta che tornerai a chiederne di nuove, pagherai per le precedenti".
Un modo strano di vendere, aveva pensato Ginevra, ma del resto tutto di quell'uomo era strano, dall'arrivo in paese alla velocità con cui aveva rimesso a nuovo il magazzino abbandonato.

Quella volta, non potrà mai scordarlo, Ginevra percorse la strada del ritorno in preda ad un frenetico batticuore, figlio dalla curiosità ricamata attorno alla misteriosa scatolina. Stringeva al petto la borsetta, aveva le guance in fiamme.

* * *

Quand'era bambina, gli abitanti del paese amavano paragonare la piccola Ginevra ad una margheritina di campo: esile, timida e molto graziosa. La sua pelle provocava invidia al bianco del latte, i capelli erano di un morbido color paglia, gli occhi caldi come le castagne.

Crescendo non diventò mai bella, ma quel suo essere semplicemente graziosa non lo perse mai. Così come non riuscì mai a scollarsi di dosso quella timidezza muta che tanto si confondeva con il disinteresse e l'apatia.

Attorno ai sedici anni, Ginevra aveva imparato a chiudere educatamente le serrande in faccia ai pochi impavidi corteggiatori che tentavano di avvicinarla. Desiderava trascorrere il tempo con se stessa. Chiuse serrande anche nei due anni successivi, e poi negli altri due, poi ancora e ancora.

A trentadue anni, infine, si mostrava agli occhi della gente come una donna di aspetto gradevole. Con il passar delle stagioni si era schiarita: la pelle diafana lasciava intravedere il delicato blu delle vene nei punti del corpo dove la pelle è meno spessa, i capelli avevano perso il tenue colore paglia mutandosi in fili d'argento, gli occhi di castagna sembravano aver assorbito i raggi del sole per riflettere il colore delle foglie autunnali.
Il suo viso però era muto e inespressivo, privo di spessore; qualsiasi emozione lei provasse risultava indecifrabile.
Parlava poco e quando apriva bocca lasciava uscire monosillabe e frasi spezzate. Non era interessante e non intratteneva conversazioni. Tutta d'un pezzo sul lavoro, sconosciuta con i familiari.
Cosa facesse del suo tempo libero, quando si sottraeva agli sguardi e alle conversazioni della piazza, nessuno lo sapeva. Nessuno conosceva il gusto del suo gelato preferito, il colore che amava di più, i nomi delle persone che le trasmettevano simpatia o antipatia.
Probabilmente la sua fortuna fu quella di non sembrare mai interessante agli occhi della gente, quindi nessuno si prendeva la briga di osservarla, seguirla, pedinarla... o semplicemente di domandarle "dove vai?" e "cosa fai?".

La verità è che la poverina non sapeva curare le relazioni, non aveva mai imparato, le temeva e ripetutamente le sfuggiva.
Trascorreva buona parte delle giornate a dipingere su tela tramonti che non completava mai. Ogni sera al sorgere del sole ne iniziava uno, il giorno dopo lo continuava sulla scia del ricordo. Ma non appena il sole si riabbassava verso il mare, una tela desiderosa di nuovi colori prendeva il posto della precedente.
Ed era sempre punto e a capo.

Poi un giorno, un uomo dalla pelle profumata apparve dal nulla.

(continua...)

2 commenti:

  1. allora il raccontino continua veramente! Bene, bene.
    Aspetto di conoscere in dettaglio il contenuto delle scatoline :)

    F.G.

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