sabato 6 novembre 2010

metti una sera in cineteca

Hai presente quelle cineteche comunali, capienza massima 50 persone, dove quando inizia la pellicola parte anche un tron tron di contorno come se il proiettore fosse a due cm dal tuo collo?
Quelle cineteche che ogni tanto tirano fuori una rassegna per intenditori con film sconosciuti ai più, di registi sconosciuti ai più, film che dovrebbero piacere a gente di cultura, gente che sa apprezzare i particolari, a cui non importa niente del lieto fine ma che tanto ama spender chiacchiere sulle inquadrature, la fotografia, l'espressività dell'occhio destro del protagonista e le arricciature del naso della comparsa in primo piano.
Si, quei vecchi cinema - vecchi per modo di dire - con salette senza fronzoli, dalle pareti giallognole (o grigie, mica son proprio tutti uguali) dove magari spicca il manifesto di un film così vecchio che ti sembra di ricordarlo come provenisse da un sogno; è un manifesto di quando ancora i manifesti li affidavano alle mani degli illustratori e con un'immagine, un titolo e un carattere tipografico sapevano raccontarti intere storie.

Ecco, se anche tu hai messo piede in una di queste cineteche o l'hai immaginata per benino, io proseguirei con l'ammettere che in realtà la descrizione della stanza non è poi così fondamentale. Perdonami e trova la pazienza di proseguire.

Succede che una sera, proprio in una di queste rassegne, proiettano un film d'animazione e mi ritrovo a vederlo quasi per caso.
Capiamoci: mi piace l'animazione e vado spesso in cineteca, ma di solito ci vado nel mezzo della settimana, al di là del film in programma; una sorta di appuntamento fisso che serve a farmi apprezzare il mercoledì.
Adesso però succede che mi ritrovo in cineteca il venerdì sera, non chiedermi il perché, e mi ci ritrovo da sola. Da sola, certo. Non mi serve nessuna compagnia per guardare un film.


Eccomi dunque nella saletta giallognola che è piena di persone adulte; posso scorgere alcuni anziani, coppie, single, amici maschi in fila per tre e amiche femmine in fila per quattro, ma soprattutto spiccano loro, i signori distinti che vanno in cineteca, quelli di mezza età (che forse in realtà si tratta di età avanzata ma lo sai anche tu che questi signori hanno l'obbligo di curarsi e ingraziosirsi perché la cultura deve essere fine e raffinata).
In mezzo ci sono anche quattro bimbe. Si, ho scritto quattro e intendo esattamente quattro.
Quattro bimbe che le conti sulle dita di una mano e vedi che ti avanza un dito per la bambina che non è potuta essere qui (la solita vecchia storia del terremoto, dell'inondazione e dell'invasione di cavallette).
Quattro bimbe sedute ognuna con la sua mamma o con il suo papà, in file diverse e in zone diverse della sala.

Adesso occorre che ti metti nei miei panni e che ti immagini per bene di ritrovarti lì, in quarta fila, sulla sinistra dello schermo - per colpa del caso, del destino o per abitudine - sei lì e ti guardi anche tu novanta minuti di immagini e musiche, di colori pastello e scenari delicati. E' una storia che profuma di Francia e poi di Scozia, di Edimburgo ma anche un po' di casa.
Un film che parla della magia e di un mago - un illusionista a esser precisi - e della bambina che crede alla magia ma ci crede davvero, come si trattasse di una manna che risolve i problemi. Ci crede così tanto che segue il mago e va a vivere con lui quasi fosse sua figlia.
Poi scopre che la vita non è fatta solo di conigli che scompaiono e bicchieri di vino che si riempiono dal nulla, nella vita ci sono anche altre magie; ad esempio c'è la magia dove indossando le scarpine belle diventi più bella anche tu, o dove basta camminare facendo svolazzare il vestitino carino che ti ritrovi un po' più donna, una specie di fatina, un elfetta, una folletta, perché con quel vestitino addosso ti senti un po' magica, chissà perché succede ma succede.

Intanto gli affari del mago vanno male, entrano ed escono nuovi personaggi - alcuni contano qualcosa altri sono solo comparsate, come nella vita del resto - la bambina è sempre più una donnetta ma alla magia ci crede ancora, il mago non vuole deluderla, i brodi caldi salvano vite umane, i conigli mordono e tu stai guardando un film che profuma di poesia in ogni inquadratura.
Il ritmo è lento, i dialoghi quasi inesistenti, ma non ti annoi, anzi, ti sembra quasi di appartenere alla storia.

Arriva il finale, che non è lieto ma nemmeno drammatico, arriva il finale e ti resta dentro un emozione, di quelle difficili da descrivere tant'è che proprio non ci riesci, la senti che vorrebbe sbucar fuori da qualche parte ma non può; assieme a lei non c'è commozione, non c'è tristezza, non c'è allegria. E' solo un'emozione spoglia ma piena, colma, che resta lì a traballare come l'ultimo petalo o l'ultima foglia, scegli un po' tu.

Due manine si uniscono e parte un clap clap clap delicato, a basso volume, sembra quasi di sognarlo.
Ti guardi intorno ed è lei, quella scricciolina bionda seduta davanti a te, sulle braccia della mamma, che applaude.
Sporgi il capo, la osservi meglio nel buio della sala, è lì che batte le mani e clao clap clap; senza timidezza e senza esaltazione, è solo un applauso piccolo, nato da mani piccole, dal suono piccolo.
Poi eccole, si aggiungono le altre manine e adesso le quattro bimbe sono tutte lì che battono i palmi in modo scoordinato e accompagnano le musiche finali, ognuna seguendo un ritmo tutto suo mentre noi altri iniziamo a scambiarci mezzi sorrisi d'intesa, come a dire "che carini i bambini, che teneri, ma chissà se ci hanno capito qualcosa".

No, aspetti signora, aspetti signore, non fraintendetemi, il mio sorriso non dice questo.

Perché vede signora, vede signore, io di solito gli applausi al cinema li trovo odiosi, inutili, faziosi, una sorta di sublimazione dello status sociale, sia quando scrosciano dopo i film truzzoni, sia quando sfociano a chiusura dei film culturali.
I film d'animazione non li ho mai visti applaudire perché i grandi devono trovarci dentro l'arte, la morale, lo scopo educativo, o se si tratta di film più ricercati devono analizzare le musiche, la regia, la colorazione.
Un adulto non applaude mai dopo un film di animazione e l'ho capito adesso; questi film li possono applaudire solo i bambini, con un applauso vero, liberatorio, senza foga, un applauso nato spontaneo, isolato, che poteva essere seguito solo da altri bimbi, quelli che han capito il film nascosto dentro il film, quelli che han sentito battere il cuoricino e han voluto replicarne il tam tam con il suono delle mani che battono una sull'altra.

Il mio sorriso, gentili signori, è un grazie.
Un grazie a quelle manine che hanno dato un suono, un significato, una vita a quell'emozione che stava per morirmi tra le mani. Se mi fossi alzata dalla sedia come al solito - lo so perché è successo altre volte - l'avrei uccisa, stroncata, dimenticata. Avrei raccontato il film agli amici e alle amiche, lo avrei consigliato dicendo "bello, vai a guardarlo anche tu, ha dei gran paesaggi... le musiche... i colori... la regia".
Invece adesso ho costruito un ricordo, ho trovato l'incanto e ho imparato cose.

Tornando verso casa, mentre camminavo con il vento freddo che mi sbatteva negli occhi e mi scompigliava i capelli, sapevo di avere un sorriso ebete in faccia, il sorriso di chi ha appena assistito a qualcosa di inaspettato e di bello ma non lo può raccontare.
Non lo può raccontare? no, credimi.

Questa è una di quelle storie che se viene raccontata la prosciughi, la rendi banale, ne uccidi ogni meraviglia.
Una storia come questa non la puoi dire a nessuno, una storia come questa la puoi solo scrivere, magari su quel vecchio blog che tre giorni fa meditavi di cancellare ma, se fino ad oggi è rimasto in vita, a qualcosa, diamine, può ancora servire.

La magia non esiste, scrive l'illusionista alla fine del film.
Se per un attimo, leggendo, hai sorriso anche tu - credimi ancora una volta - possiamo permetterci di contrariarlo.


[Note: il film si intitola L'Illusionista, regia di Sylvain Chomet]