martedì 26 giugno 2007

inViDia

Venticinque righe, me ne bastano venticinque.
Una per ogni manciata di giorni mescolati a generarmi gli anni.

No, non voglio riferire una cronologia di eventi, di passi, di gesti.
Non si tratta nemmeno di una fiaba o di un racconto fantastico.

Il punto è che a volte ci si sente cattivi.
Cattivi perchè si ama immensamente qualcuno e lo si invidia.
Cattivi perchè ci han detto che l'indivia è un sentimento brutto.
E non si provano i sentimenti brutti nei confronti di chi si ama.

Eppure qualcosa non quadra.

Ti amo immensamente perchè non mi somigli.
Perchè sono incatenata in un angolo e tu giochi con leggerezza.
Semplicemente vorrei tanto somigliarti.

E ti invidio.

Ma l'invidia è una cosa brutta anche se ti amo immensamente.
Non è mio diritto assaporarla mentre ti penso.
Nemmeno se proteggerò sempre la bellezza del tuo fruscio.

Ma se io non ti invidiassi, cosa saresti tu?

Saresti più simile a me, senz'altro.
Avresti i miei difetti, e io li odierei in te come in me.
L'odio non genera invidia, genera disprezzo.
Non avresti i tuoi pregi e non ti amerei.

Ma io ti voglio esattamente come sei tu adesso.
Ti voglio amare e proteggere così, nella tua forma spontanea.

E in questa notte mi sento cattiva perchè ho i miei difetti.
E perchè non amo i miei pregi con l'intensità con cui amo i tuoi.


martedì 12 giugno 2007

Le Notti della Mancanza

C'erano notti in cui la Nostalgia le invadeva gli occhi con ondate improvvise di umido sale.

C'erano notti in cui l'Assenza bussava feroce alle pareti di un cuore in tumulto.

C'erano notti in cui si sentiva Perduta, troppo lontana per restare avvinghiata nella presa di quell'invisibile braccio chiamato Radice.

Erano le Notti della Mancanza, dove voci di sirene cantavano ricordi e conducevano il pensiero con sublime strazio, lo ingannavano, lo ammaliavano, usando omeriche seduzioni tentavano di rapirne anche il corpo per ricondurlo alla sua terra.
Terra dura, capricciosa, così difficile da modellare, ma che conservava ancora forma di quel corpo mancante.

Erano le notti in cui in preda all'angoscia si domandava se fosse giusto, se fosse consentito, se fosse naturale Vivere Separata, aver scelto la Distanza, aver chiamato casa altre mura, le dita della mano hanno senso solo se restano insieme, attaccate nel punto preciso in sui sono nate, ti strapperesti forse un dito per posarlo in un altro punto del corpo?

Erano le notti in cui tutto sembrava un Errore e la Solitudine urlava e sbatteva e sfiniva ogni forza.
Erano le notti in cui anche la propria voce singhiozzante sembrava Voce di Terra Straniera.

C'erano notti in cui si sentiva morire come quel sole rosso fuoco che si spegneva lontano, nel suo mare, ogni sera, mentre il campanile, eterno e sconfitto, suonava muto la maliconia degli esuli.

Erano le notti in cui sapeva che l'indomani il sole avrebbe illuminato un cielo diverso e uguale, perchè l'azzurro che ci copre è sempre lo stesso azzurro e ci sorveglia,
noi e le nostre case lontane,
noi e le nostre persone strappate,
noi e le nostre scelte malate.

giovedì 7 giugno 2007

Calendula

Spalanca il cuore con la luce del mattino, si spegne gemendo come sole al tramonto.

Bellezza e delizia non sostiene quando sale l'ombra.
Il fragile stelo non sopporta il peso che non vede.

Te ne accorgi.
Rattristato non comprendi il suo chinarsi inerme, ma ben sai che un fiore è bello poichè indifeso.
L'inebriante profumo costa fatica, ogni esile sorriso lo coltiva custodendolo nel segreto.
E se corruccia lo sguardo è solo perchè tenta invano, ahimè, di celarti quell'animo trafitto.

Della tua luce morbida non sente il tocco.

La Notte, indiscreta, ne percepirà il tremore, l'inquieto soffrire in lacrime di rugiada.
Son perle che scendono da rive socchiuse, ghiacciate, sprofondano in una solitudine nera.

Non ti spaventare, oh Notte, non temere per l'esile creatura.

Se tra le tue braccia si dimena con affanno, circondala con più ardore.


Non sarà in grado di chiamare per nome il peso che l'opprime, ma tu che il battito del cuore sai ascoltare,
da quel silenzioso palpitare,
ne percepirai l'essenza:

Assenza.


venerdì 1 giugno 2007

Ho Sepolto il Cuore

Ho sepolto il cuore per impedirgli di perdere il senno.

L’ho sepolto in terra umida, scura, fredda come pietra antica, dal profumo pungente che assale intenso appena la smuovi a fondo, inaspettatamente morbida al contatto delle dita tremanti che vi si insinuano randagie.
L'ho sepolto in una terra affamata che gli si è appiccicata addosso, svelta, smaniosa di possederlo ed assimilarlo fatalmente nella morsa.

Ho sepolto il cuore e l’ho sepolto in una sera tiepida, con le mie sole mani, raspando con le unghie, infrangendo la resistenza della crosta che schiacciava il terreno, ho scavato io, io sola. L’ho deposto senza una lacrima di addio.

Il luogo in cui l’ho sepolto è ben custodito, celato agli sguardi da una coltre di edera silenziosa, discreta, insinuatasi col tempo tra le fessure di ogni arbusto. Un verde mantello che lo protegge senza nulla aspettare, così come i rovi vegliarono il placido sonno della Bella, senza conoscer fretta.
Fragile custode sembra a prima vista, quasi adagiata con leggerezza.
Ma in realtà violenta è la sua presa, asfissiante il suo tocco, timore non incute con spine e rovi, ma con un abbraccio che tutto ricopre, senza spiragli, che si caccia dentro, si impianta come corpo sprofondato in un letto.

L’ho sepolto e l’ho lasciato ricoprire dall’edera. Non credo avrà mai voglia, lei, di rendermelo indietro.

Lui continuerà a sussultare, ancora e poi ancora.
Io so che quando tu passerai in quella radura, facendo scricchiolare il tappeto di foglie secche ad ogni passo, all’improvviso ti sentirai inquieto come fossi scrutato nel segreto. E penserai che la suggestione dei luoghi partorisce fantasmi come il deserto genera le fate morgane.
Tu non saprai, ma la verità è che di quel cuore avrai percepito il respiro.


Ho sepolto il cuore perché m’impediva di ragionare.
Perché si confondeva spesso, si lasciava ammaliare con capriccio, perché non voleva star solo, perché voleva svincolarsi da ogni controllo.

L’ho sepolto perché mi schiacciava e mi inebriava, dissennato come un bambino irrequieto.

L’ho sepolto perché non voleva più appartenermi.

Leggera sono adesso, non devo più sforzarmi di trovare, al sorgere di ogni alba, il coraggio di affrontare giorni troppo felici.


* ringrazio Dario per la foto.