domenica 28 settembre 2008

Lo Specchio della Foresta Nera

Oltre le mura del villaggio, in direzione nord-ovest, sorge una grande foresta di alberi neri.
Te la ritrovi in faccia quasi all'improvviso poiché per giungervi occorre attraversare una lunga serie di collinette e avvallamenti che ne nascondono la vista durante il cammino. Esci dal villaggio e trovi un piccola salita, poi scendi, risali e scendi, passi il fiumiciattolo che nelle stagioni calde non è altro che un minuscolo rigagnolo, attraversi un prato di papaveri, risali e poi quando ti trovi nel punto più alto, appare alla tua vista la vallata con la nera foresta.
I tronchi degli alberi sono scuri e le foglie color del carbone che più non brucia. Nel villaggio raccontano come negli anni passati la foresta fosse verde e rigogliosa; poi arrivò una notte terribile, in cui il cielo si tinse di bagliori rossastri e la brace prese il posto di pietre e fili d'erba. La foresta bruciò come se si trovasse all'interno di una fornace, tutta insieme, unita nel mostruoso falò, senza che il fuoco sfiorasse appena l'ambiente circostante.
Raccontano, i vecchi del villaggio, che all'interno della foresta viveva una vecchia donna, o almeno, pensavano fosse vecchia a causa della voce roca e della schiena curva; tuttavia nessuno ne aveva mai visto il viso, sempre ben nascosto dall'ampio cappuccio del mantello.
Quando la foresta fu divorata dalle fiamme, della vecchia si perse ogni traccia. Nessuno, negli anni a seguire, osò varcare la soglia delimitata dagli alberi bruciati; il loro aspetto irreale incuteva timore.
Nonostante avessero arso per ore intere, si erano rifiutati di dissolversi in cenere. I tronchi restavano ritti, le foglie attaccate ai rami, le radici ben salde nel terreno. Ma erano neri, come l'ombra, come la tenebra, come il carbone spento.
Ma oggi, sotto il cielo terso di un giorno d'estate di rossi papaveri, la piccola Gaia si era spinta sul limitare della foresta, ben intenzionata a violarla. Il nonno le aveva raccontato nuovamente la storia dell'incendio, ripetendo le stesse parole di ogni volta, ma poi si era intromessa nel racconto la nonna, che passava di là con le braccia colme di zucchine; si era fermata, aveva ascoltato pochi istanti e: "questa storia è davvero affascinante ma io trovo ancor più misterioso che nessuno sia mai andato a recuperare lo specchio della vecchia signora!". "Quale specchio?" - aveva chiesto la bimba sgranando gli occhi, entusiasta per la scoperta di un nuovo particolare della sua storia preferita. La nonna sedette accanto a lei e continuò: "Lo specchio che la vecchia nascondeva in casa sua. Il fruttivendolo e il ricottaro, che si recavano spesso nella foresta per venderle le loro mercanzie, raccontarono nel villaggio di come la vecchia tenesse uno specchio, coperto da un telo rosso, all'interno della casa. Una volta, uno dei due, non ricordo bene chi, le aveva anche chiesto cosa nascondesse dietro il telo. Lei rispose che si trattava di uno specchio, ma preferiva tenerlo così, per evitare di osservare la propria immagine riflessa". "E perché dici che era magico nonna?" - "Ah, non lo dico io, ma lo disse l'intero villaggio, per giorni e giorni... Perché una volta uno dei due venditori, anche qui non mi ricordo quale dei due, le chiese di vederlo ma la vecchina, dopo quella richiesta, lo sbatté fuori di casa in malo modo. Poi arrivò l'incendio. Ho sempre pensato che qualche comitiva di comari curiose sarebbe andata a recuperarlo, ma così non è stato" - "Perché si tratta di frottole! - sbraitò il vecchio nonno e così facendo, concluse il racconto della nonna per proseguire con la storia degli alberi che bruciarono diventando neri.

Ormai il danno era fatto.
Mai rivelare ai bambini l'esistenza di cose misteriose e poi chiudere con la parola "frottole" o "stupide fantasie" o "sciocche bugie".
I bambini si sentono in dovere di svelare l'arcano, affinché gli adulti non incorrano in errori di valutazione.
La piccola Gaia si inoltrò nella foresta, per scoprire quale dei due nonni aveva ragione.
L'interno della foresta nera era tetro più di quanto la bimba avesse immaginato.
Nero il sentiero, neri gli alberi, non un verso di animale. Dall'alto riusciva a far breccia qualche raggio di sole che nello scendere in basso si trasformava in una luce tenue e irreale, grigia e polverosa, a volte fluttuante come vapore.
Il cuore della bimba batteva forte, si guardava attorno con sospetto, cercava di porgere attenzione a dove posava i piedi, ma era tutto nero e la poca luce non riusciva a difenderla dagli ostacoli.
Cadde tre volte, e nel cadere sentì la fuliggine avvolgerla. Starnutì. Poi si alzò e si guardò le mani, nere come la pece. Anche le ginocchia erano diventate nere e probabilmente anche il volto; più volte si era toccata in viso per darsi qualche buffetto tranquillizzante.
Tuttavia non tornò indietro, procedette determinata come un soldato in guerra dal cui buon esito della missione dipendono molte vite umane.
Cammina, cammina, eccola distinguere finalmente qualcosa che non sembrava un albero. Un enorme blocco grigio, un pezzo unico, come una parete. La casa della vecchia.
Gaia iniziò a correre per giungervi il più in fretta possibile, il cuore impazzava, scappava come fosse seguita dagli alberi tutti della foresta, come se qualcuno o qualcosa volesse impedirle l'ingresso nella casa.
Corse, corse, corse, sbatté quasi contro la porta non riuscendo a fermarsi del tutto nello slancio, tirò in basso la maniglia, aprì, entrò, chiuse!
Adesso era immobile, con le spalle al muro, mentre tentava di calmarsi. Il respiro era un po affannato, ma lo controllava; il rumore frenetico del battito del cuore le balzò all'orecchio.
L'interno della casa era più luminoso dell'intera foresta. Nel bel mezzo del soffitto c'era un grande buco, probabilmente provocato dall'incendio: il tetto era crollato ed ora entrava un raggio di sole tiepido. Gaia camminò fin sotto il buco, guardò in alto e vide alcuni rami pieni di foglie far capolino sulla strettoia, sopra di loro il cielo ed il sole.
Tranquillizzata dalla presenza della luce, iniziò a guardarsi attorno.
Non ci volle molte: il velo rosso era l'unico colore che spiccava in quella casa grigia e consumata dalla notte.
Si avvicinò alla parete, prima di scostarlo si fermò ad ascoltare il suo stesso respiro per diverse volte.
Poi inghiottì il rospo ed aprì!

Che orrore! urlò e balzò indietro; nel mentre si rese conto di non aver visto altro che se stessa, nera come un legno bruciato.
Con le mani affumicate scostò i capelli dagli occhi e si riavvicinò allo specchio per guardare.
* * *
"Tesoro, cos'è questo?" - chiese il ragazzo voltandosi con un dolce sguardo, uno di quelli che riescon bene solo agli innamorati.
"E' il vecchio specchio di mia nonna... mia mamma dice che deve stare coperto dal telo, perché può essere pericoloso" - rispose la fanciulla senza voltarsi. Stava sistemando una ciocca ribelle che sfuggiva dalla treccia, che fastidio! "Pericoloso? e perché mai?" - "Non lo so.. ma la mamma non sopporta la sua vista. Dice che è maledetto, che la nonna ha infuso in questo specchio tutto il suo dolore" - "Ma di cosa parli? che dolore?" incalzò il ragazzo. "Quello che lei sopportò quando uccisero sua figlia, la sorella maggiore di mia madre. La trovarono nella foresta, straziata... fu aggredita da qualcuno.. non sappiamo chi... venne trovata sanguinante, ferita nel viso e nel corpo. Il medico disse che era stata uccisa lentamente, con molte sofferenze. Mia nonna si ammalò dal dolore e non si riprese più. La mamma ricorda come negli ultimi giorni continuava a guardarsi in questo specchio, cercando nei suoi stessi occhi risposte che non potevano arrivare, consumandosi nella sua immagine riflessa, infondendo tutta la sua sofferenza nel volto che viveva nell'altro lato dello specchio. Mia mamma, dopo la morte della nonna, non è più riuscita ad utilizzarlo. Ci provò, ma dice che lo specchio le provocava sofferenza, come se le facesse percepire del dolore; non il suo, ma quello degli altri, quello che lei aveva provocat.." - "Ahahahah, ma che sciocchezza... dai! Mi spiace per la tua povera zia, davvero una brutta fine, ma poi non puoi raccontarmi una storia simile. Lo specchio magico, ma và! E' ovvio che la povera nonna perse la ragione a causa dal dolore, ma da qui, a sentire il dolore altrui nello specchio.. " - "La mamma dice che la nonna poteva sentire il dolore provato dalla zia, è per questo che non riusciva a smettere di piangere, di star male, di guardarlo, per soffrire come lei, con lei.." - "Amore, ma tu ci credi?" - adesso la guardava incredulo - "credi davvero a queste storie che parlano di maledizioni, oggetti magici, fantasmi o stregonerie varie?" - "non lo so... non lo so se ci credo, ma non mi va di guardare quello specchio! Gli oggetti si portano dietro qualcosa di chi li ha posseduti. Le case odorano dei loro proprietari, un oggetto può anche trasmettere dolor..No! FERMATI!!"
Troppo tardi.
Mentre la fanciulla parlava, il ragazzo si era portato davanti lo specchio e aveva sospinto via il velo.
In un solo attimo il suo viso divenne pallido, gli occhi sbarrati. Dalla bocca spalancata colò via un filo di bava, rimase impietrito, con i muscoli tirati e le mani tremanti. Lui non aveva urlato e non urlò. Fu come uno schianto improvviso.
Uno schianto come quello della sera in cui aveva rubato la macchina di suo padre, a 15 anni, per fare un giro con gli amici. Si stavano divertendo, erano tutti a casa sua perché i "vecchi" cenavano fuori. Avevano giocato a carte, bevuto un po, poi qualcuno aveva tirato fuori l'idea della bravata "prendiamo la macchina di tuo padre e facciamo un giro?".
Il genitore, sempre molto rigido, proprio quel pomeriggio lo aveva punito severamente per l'ennesima sciocchezza. Forse fu una punta di vendetta a spingerlo ad accettare. Solo un piccolo giro nei dintorni, per dimostrare agli amici quanto fosse vero che lui sapeva già guidare, per far un dispetto ai due "vecchi" ignari; l'orgoglio lo reclamava a gran voce.
Il ristorante in cui cenavano era lì vicino, i genitori avevano approfittato della bella serata e della luna piena per far due passi a piedi. Bastava evitare la strada che portava davanti il ristorante. E poi tornare in fretta, prima del loro rientro. Solo un giro veloce.
Il giro in macchina non andò come sperato, però sì, fu veloce. Subito dopo la prima curva, un uomo apparve nella sua traiettoria: frenò, di botto! Una puzza terribile invase l'abitacolo, come di bruciato. Gli amici, fino a pochi istanti ridenti e vivaci, tacevano in preda alla paura. Aveva frenato in tempo, un miracolo, pensò.
Un vecchio uomo si trovava adesso proprio di fronte al muso della macchina: aveva gli occhi sbarrati, era immobile. Il suo volto era illuminato dai fari, il giovane lo riconobbe: si trattava del vecchio pazzo del paese, che di notte amava passeggiare ai bordi delle strade illuminate dalla luna. Quella sera era appena uscito di casa, qualche passo rilassante, poi... il terrore!
Il ragazzo si era fermato in tempo, non lo aveva ucciso! Poi, in preda al panico totale, senza dire una sola parola, inserì la retromarcia, poi la prima, ripartì, spinse sull'acceleratore e fuggì nella notte.
E il vecchio? Lo lasciò lì, tremante, con la bocca spalancata.
Il mattino seguente lo trovarono morto, ai piedi del suo letto.
Infarto - fu il referto del dottore - probabilmente la morte lo aveva colto mentre tentava di giungere al suo giaciglio, forse si era sentito poco bene e aveva desiderato stendersi.
Nessuno seppe nient'altro su quella notte, nessuno vide. Gli amici lo consolarono: era vecchio, sarebbe morto lo stesso, non è stata colpa tua. E poi tacquero.
Chissà se la morte per infarto è dolorosa... chissà se ha sofferto nel tornare a casa sua.. e se ci fossimo fermati? Queste domande, il ragazzo, se l'era poste per anni... di fronte allo specchio magico, aveva trovato infine le risposte.
* * *
Gaia urlò, pianse, si tirò i riccioli inceneriti, strepitò, prese a pugni lo specchio, pianse e pianse.
Tutto il dolore che aveva provocato ad altri bambini con le sue prese in giro, alla mamma con le sue marachelle, ai piccoli animali che torturava, tutto quel dolore, le arrivò nel cuore concentrato in un solo colpo. Non capiva bene cosa stava accadendo, ma all'improvviso le sembrava di ritrovarsi dentro il cuore di sua mamma, all'interno del cuore della rondinella colpita dalla fionda, nel cuore terrorizzato del topo che affogava, nel cuore afflitto della bambina scema della sua classe, quella che i maestri chiamavano autistica e che per lei era solo una rimbambita.
Soffrì e pianse, pianse; si sentì sul punto di morire, sul punto di volersi uccidere per non soffrire ancora così. Era diventata la vittima di tutto il suo stesso male.
Passarono ore. Quando il sole smise di entrare nella stanza, si rialzò; meccanicamente coprì lo specchio, corse alla porta, aprì: era tutto buio, più di prima. Ma la strada che aveva percorso per arrivare alla casa era dritta, o almeno così ricordava, bastava procedere dritto avanti a se e iniziò a correre. Ma non è facile andare dritti quando le radici ti ostacolano, quando gli alberi ti fan deviare e quando ti rendi conto che forse nemmeno all'andata procedevi in linea retta.
Per sua fortuna nel villaggio si erano allarmati, i nonni non la videro tornare, la mamma si preoccupò, il papà prese con se gli amici e i parenti e partì verso la foresta.
Nel villaggio non l'avevano trovata e i nonni si ricordarono che la curiosità della nipotina era forte, così come forte era il mistero ed il fascino della vecchia foresta, di cui voleva sempre sentir parlare.
Gaia vide delle luci in lontananza e iniziò a urlare; aveva paura, non sapeva cosa fossero esattamente quei bagliori, ma nello stesso tempo sperava che qualcuno fosse arrivato a cercarla.
In due minuti si ritrovò tra le braccia del panciuto fornaio.
Non raccontò a nessuno i dettagli della sua avventura.
"La casa della vecchia era tutta bruciata, non è rimasto niente la dentro" - balbettava sotto le coperte, mentre la sua mamma le stringeva la piccola mano. "E così ci hai fatti preoccupare per nulla, eh?" - la donna le diede un buffetto sulla guancia, poi le tirò su le coperte; aveva perdonato l'agnellino nel momento stesso in cui la testina nera si era affacciata nell'ovile.
"Niente mamma, non c'era niente.."
Gaia temeva che qualcuno potesse imitarla. Lo specchio la spaventava. Era terribile. Nessuno doveva provare, conoscere quel dolore; nessuno. Si imbucò sotto le lenzuola e poi, pian piano, cadde addormentata; il suo piccolo cuore era affaticato, la dolce nenia della mamma lo accoglieva come in un abbraccio di luce.
La piccola Gaia crescerà e con il passare degli anni si chiederà più volte se l'avventura della foresta sia stata reale o meno. Non riuscirà più a stabilire se ciò che ha visto nello specchio è stato il frutto di una fantasia dettata dalle circostanze, o se invece lei provò davvero tutto quel dolore.
Un giorno, da adulta, tornerà in quella piccola casa grigia, forse in compagnia del suo cane. Prenderà lo specchio, senza guardarci dentro, e lo distruggerà in mille piccole scaglie.
Se quella magia era stata solo il frutto di una sua fantasia, lo specchio non aveva nessuna importanza: se invece tutto era accaduto veramente, allora doveva essere distrutto. E dimenticato.
Dopo, Gaia, non tornerà più nella foresta, non racconterà a nessuno strane storie di specchi e vecchie misteriose. Ai suoi figli non narrerà fiabe che in qualche modo possano ricondursi a quella casa.
La vecchia faceva bene a tenerlo nascosto, a non rivelarne il potere. Perché poi la gente ha voglia di provare. Incredula o curiosa, ha voglia di provare.
Forse la vecchia lo aveva guardato più volte... o qualcuno a lei caro lo avevo provato. E lei, da allora, non aveva più voluto che altri soffrissero così tanto. Lei sapeva che il troppo dolore può uccidere.
Gaia avrebbe seguito il suo esempio. Se lo promise quella notte, mentre nel suo letto stringeva la mano materna.
"Niente mamma, non c'era niente.."

4 commenti:

  1. ohh, ecco una delle tue favolette.
    Se oltre a scriverla ti sei cimentata anche in un'illustrazione di contorno, sappi che pretendo di vederla ;)

    F.G.

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  2. Bello. Bello. Bello.
    Ci sono dentro tutte le cose che adoro, come se qualcuno mi avesse cucinato il mio piatto preferito.
    E allo stesso tempo è molto " mareadilucesco ":)
    Mi è piaciuto molto anche l'intermezzo.

    E' da tanto tempo che cerchiamo di dimenticare le cose brutte del bosco. Alcuni ci riescono, altri no. La curiosità continua a muoversi, generanno le storie che verranno, e anche quelle che non vorremo mai leggere.

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  3. ma quanto scrivi? brava!
    se puoi, mi serve un tuo voto (più volte, da qualsiasi pc trovi. tanto barano tutti). vai sul mio blog per capirne di più. graz

    ps.con il tuo blog, il mio firefox impezzisce, non so perchè...

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  4. >(più volte, da qualsiasi pc trovi. tanto barano tutti)

    Eh, No. No. No.
    Se barano tutti, noi, che siamo buoni, dobbiamo dare il buon esempio.

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