giovedì 11 settembre 2008

quando il vuoto viene dal luogo

Questa mattina, via metapolis, ho avuto modo di leggere l'articolo che il New York Times ha pubblicato per la ricorrenza dell'11 settembre, A 9/11 Loss Some Can See From Their Window, Still. 

Non il solito pezzo dedicato alla commemorazione delle vittime, al terrorismo, alle azioni in corso dell'esercito americano, ma una riflessione sul vuoto che l'assenza delle Torri suscita nell'animo dei newyorkesi, privati di un pezzo importante della loro città.
Mi colpisce il taglio dell'articolo perché per una volta si punta l'arco sul panorama rubato. Non solo ferite che sanguinano nel cuore; esiste anche un senso di vuoto e mancanza che nasce e geme negli occhi.

Chi ama soffermarsi a contemplare paesaggi naturali o scorci di città, sa bene come un luogo sia in grado di estirparci sensazioni e sentimenti, di emozionarci, di accoglierci nel momento del dolore e della serena gioia.
 I luoghi permettono alla nostra anima di emergere e quando lei esce fuori si lega inscindibilmente al paesaggio che l'ha chiamata. Così come si lega al paesaggio che l'accompagna nel cammino quotidiano.

Mentre leggevo l'articolo, mi è tornato in mente un ricordo, di qualche anno fa.
Nel mio paese avevano iniziato da poco i lavori di restauro al vecchio rudere castellense. Mia madre è cresciuta in mezzo a quelle pietre, custodi di ricordi ed emozioni.
Nei giorni in cui sapeva che gli operai lavoravano presso il castello, non poteva fare a meno di rivolgere lo sguardo al picco dove sorgono le due torri e gli altri ruderi.
Mi spiegò che nonostante fosse contenta del recupero e dei lavori di qualificazione, percepiva come una stretta al cuore, una ferita, all'idea che degli estranei mettessero mano sulle "sue" pietre.
Stavano modificando il suo luogo; riportavano in vita muri e pavimenti nascosti, ma nel cuore di mia madre storpiavano un immagine abituale e rassicurante.

I luoghi in cui viviamo ci appartengono, nel ricordo e nel presente.

Così come ci appartengono i luoghi che visitiamo o che attraversiamo al nostro passaggio. Quante volte nel ripensare alle città e alle nature viste e visitate, ho avuto voglia di rivederle, per provare di nuovo le emozioni che mi avevano suscitato.

E così provo a immaginare la ferita che si apre ogni volta che un  newyorkese guarda fuori dalla finestra, quel vuoto che avverte nel paesaggio estraneo ogni volta che lo sguardo affronta Gound Zero; paesaggio incompleto quello senza le due torri... come se ad un parigino togli la Tour Eiffel, come se a Roma fai sparire il Colosseo, come se al mio paese togli il suo castello.
Si rompe un filo del legame. Una parte di noi tramonta e non risorge più.
Osservare il posto che occupavao le torri è come osservare un luogo fuori dal luogo, senza spazio e tempo non definito, astratto, inconsistente.

Penso che non potrei guardare con serenità un paesaggio straziato, se nel mio ricordo splende.


E tutto si riassume qui, nelle parole di Christine Sugrue:

“Whenever I look over there, I’m always conscious that’s something missing.”

3 commenti:

  1. In effetti, spesso i più superficiali di noi non ci badano, ma togli anche un pur minimo elemento, e sconvolgi tutto un equilibrio.

    A me non succede soltanto con paesaggi o con elementi architettonici.
    Ma anche, più banalmente, se manca qualcosa di importante nella mia stanza o scrivania, nonostante io abbia una nomea meritata da disordinato, tenendo tutte le cose alla rinfusa.

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  2. Anche per me è lo stesso. E anche io sono disordinata. Ma il mio disordine è il mio ambiente, il mio guscio, la mia sicurezza.
    Quando ho cambiato casa, la prima cosa che ho fatto nella nuova è stato il ricreare, nella mia stanza da letto, l'ambiente a me caro. Mettere in vista gli oggetti che amo, i libri che adoro..
    E' incredibile quando gli oggetti e le forme dello spazio che ci circonda, incidano sul nostro equilibrio quotidiano e sul nostro stato d'animo.

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  3. In realtà anche noi ci portiamo la casa appresso, come le lumache :)
    O perlomeno, cerchiamo di ricrearcela...

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